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L'ALLENAMENTO MENTALE

L'ALLENAMENTO MENTALE DEL PORTIERE DI CALCIO
A cura di Surace Marcello - Coach professionista

Coordinatore Prof. Lovecchio Carmelo

Molto spesso i preparatori si occupano quasi esclusivamente della preparazione atletica-tecnica e tattica dei loro atleti trascurando quasi completamente l'aspetto mentale.

Ci troviamo così ad avere dei portieri bravissimi in allenamento e succubi degli effetti negativi della pressione della partita. E' un fatto ormai noto a tutti che la componente mentale di un portiere gioca un ruolo determinante nella qualità della prestazione sia propria che con influenze su tutta una squadra a partire dalla difesa. Un portiere mentalmente tranquillo,sicuro,con forte personalità riesce a trasmettere ai suoi compagni ulteriore tranquillità e sicurezza. Non bisogna necessariamente essere degli psicologi per poter dare una mano ai nostri allievi a migliorare anche sotto questo aspetto.

In questa sezione inseriremo una serie di articoli che ci aiuteranno notevolmente a curare anche questo lato dell'allenamento ed essere dei preparatori che sanno come muoversi anche oltre quelli che sono i settori "tradizionali" di competenza.

Coach Marcello Surace

TITOLI

Maestro Internazionale Di Tennis (Professional P.T.R) (MAP 3 A), Milano 2001.

• Maestro Di Tennis Nazionale (U.I.S.P.), Perugia 1998.

• Istruttore 1° livello (F.I.T.), Reggio Calabria-Cosenza-Lamezia 2000.

• Direttore Di Scuola Prototipo (R.I.T.A.), Torre Del Greco 2002.

• Master In Psicologia Dello Sport (A.I.P.S.), Roma 2003.

• Educatore Sportivo (C.O.N.I.), Reggio Calabria 2002.

• Istruttore Di Fitness (F.I.F.), Catania 1998.

• N° 6 Simposi Internazionali: Le Migliori Scuole Del Mondo A Confronto, Milano 1999, 2000, 2001, 2003, 2004, 2005.

• L’insegnamento Del Tennis Ai Bambini Dai 4 Ai 10 Anni, (Van Der Meer Tennis University Europa-Sudtiroler Tennis Camp) PTR, Marlengo 2002.

L’insegnamento Del Tennis In Spagna (Academia Sànchez Casal), Napoli 2000.

• Standard Method, PTR, Milano 2001.

• Corso Adulti, Marketing, Esercitazioni Avanzate, PTR, Cividino Milano 2002;

• La Forza: Mezzi E Metodi Di Incremento, Perugia 1998.

• Aggiornamento Regionale: Le Capacità Coordinative E Loro Influenza (U.I.S.P.), Reggio Calabria 1999.

• Aggiornamento Nazionale: La preparazione Mentale Dentro E Fuori Dal Campo (U.I.S.P.), Perugia 1998.

• Aggiornamento Regionale (U.I.S.P.), Reggio Calabria 2001.

• Aggiornamento Regionale (F.I.T.), Reggio Calabria 2001.

• Le Scoliosi E La Ginnastica Posturale (F.I.A.), Vibo Valentia 2003.

• Preparazione Atletica E Sistemi Di Allenamento Fisico Nel Tennis Moderno, (PTR), Catania 2003.

• Aggiornamento Annuale (PTR), Roma 2003.

• Junior Coaching: Il Processo Di Allenamento Giovanile Nel Tennis Dai 10 Ai 16 Anni (PTR), Catania 2004.

• Aggiornamento Annuale (PTR), Roma 2004.

 

BIBLIOGRAFIA GENERALE ARTICOLI

• Pomelli Giorgio, Anderloni Enzo, Melzi D’Eril Filippo, Russotto Beppe, la passione infinita, edi sport editoriale, Milano, 2005

• Istituto Superiore di Educazione Fisica, tesi: analisi statica degli aspetti che caratterizzano il tennis giovanile a livello mondiale, Milano

• Weiss U. Beat Schori, il fanciullo e lo sport di alta prestazione, società stampa sportiva, Roma, 1990

• Hanggi R., elementi di psicologia dello sviluppo, società stampa sportiva, Roma, 1989

• HABN E., l’allenamento infantile, società stampa sportiva, Roma, 1986

• Sotgin P., Pellegrini F., attività motorie e processo educativo, società stampa sportiva, Roma, 1989

• Santini V., Matteucci E., Nenni D., aspetti metodologici della preparazione nelle scuole di addestramento al tennis, società stampa sportiva, Roma, 1983

• Treutlein G., Sanalik H., Hanke U., l’allenatore vincente, società stampa sportiva, Roma, 1992

• Istituto Superiore Di Educazione Fisica, tesi: la motivazione nell’attività sportiva, Torino

• Lowen Alexander, il linguaggio del corpo. campi del sapere Feltrinelli edizioni, 1997

• Starosta W., coordinazione e simmetria dei movimenti, sds rivista di cultura sportiva

• Goleman Daniel, intelligenza emotiva, biblioteca universale Rizzoli, 2001

• Agam Bernardini, lo zen e l’arte di giocare a tennis, macro edizioni, 1998

• Crepet Paolo, non siamo capaci di ascoltarli, Einaudi edizioni, 2001

• Furlan Elisabetta, giochiamo con lo yoga, edizioni mediterranee 1991

• Fatone Franco, il gesto e la parola, Sovera editore, 1999

• Butler J. Richard, psicologia e attività sportiva, pensiero scientifico editore, Roma, 1998

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• Tamorri, neuroscienze e sport, utet

• Antonelli F., Salvini A., psicologia dello sport, Lombardo editore, Roma, 1978

• Longoni Umberto, questioni di testa, Calderoni edizioni, 1995

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• Robbins Anthony, come ottenere il meglio da sè e dagli altri, tascabili Bombiani edizioni, Milano, 2004

• Tosi Daniela, autogeno training, Brancato edizioni, 2001

• Giornale Italiano di Psicologia dello Sport

• Barazzutti C., Kenny V., la forza interiore nel tennis e nella vita, società stampa sportiva, Roma, 1997

• Istituto Superiore di Educazione Fisica, tesi: golf e preparazione mentale, Torino

• Sgarbi Livio, istruzioni per vincere, Sperling & Kupfer editori, 2003

• Marisa Muzio, sport: flow e prestazione eccellente, Franco Angeli editore, 2003

 

La personalità umana

La persona umana è composta da corpo e mente. Del corpo fanno parte le ossa, i muscoli, le articolazione, gli organi interni, la pelle, il cervello e il sistema nervoso.

L’apparato psichico é caratterizzato da inconscio (parte della mente che sfugge all’attenzione della mente stessa); dal conscio (parte della mente che funziona in base ai principi della logica e della razionalità); dal preconscio (pur non essendo ancora conscio ha già superato lo stato di inconscio riguardante contenuti rappresentazionali e affettivi accessibili, anche se non sempre disponibili).

La mente è rappresentata dal contenuto del sistema nervoso che è suddiviso in tre parti:

mente somatica, mente analitica, mente emotiva.

 

La mente somatica, chiamata anche schema motorio, ha il compito di memorizzare tutte le informazioni provenienti dai muscoli, dalle articolazioni, dalla pelle; coordina i movimenti, l’equilibrio, la postura.

 

La mente analitica o conscia è responsabile del ragionamento, dell’intelligenza,della logica, della tattica o strategia in campo .

 

La mente emotiva, chiamata anche inconscio, rappresenta la nostra istintività; è l’insieme delle emozioni negative e positive; agisce in base allo stimolo risposta senza intervento di coscienza; è legata al corpo ed in grado di condizionarlo attraverso le emozioni; agli stimoli percepiti risponde in base ad esperienze già vissute attraverso la ripetizione e l’allenamento; è un enorme deposito di vissuti e di ricordi; non pensa ma sente, prova e risponde ai comandi della mente conscia attingendo nel deposito dei ricordi dando istruzioni al corpo sulle cose da fare. Quindi, durante la partita non bisogna pensare a come fare una determinata cosa, ma cosa si vuole realizzare con comandi precisi e non dubbiosi, e verrà fatto automaticamente dalla mente inconscia se si ha un bagaglio motorio-tecnico-tattico abbastanza vasto.

 

Per avere successo è necessario che la mente conscia e quella inconscia siano in un rapporto di congruenza (Livio Sgarbi).

Per di più, ogni individuo possiede dei tratti della personalità, cioè una predisposizione a rispondere a particolari stimoli in maniera differente circa i rapporti con gli altri, la stabilità emotiva (ansia, preoccupazione, rabbia, gestione delle emozioni), l’intraprendenza, l’intelligenza tattica, l’iniziativa, il desiderio di apprendere, ecc.

Partendo da questo presupposto, alcuni soggetti presentano una difficoltà a leggere i propri segnali fisici e i vissuti emozionali (tranne la paura e l’ansia), interpretati come un cattivo funzionamento a livello fisico; i soggetti con tale personalità hanno delle buone relazioni interpersonali, hanno paura di perdere il controllo delle proprie emozioni e una scarsa predisposizione al rilassamento.

Altri, delineano una personalità rigida, perfetta, perfezionista, con difficoltà nel prendere le decisioni, l’impedimento nel rilassamento e nell’espressioni delle emozioni. Altri, dimostrano pessimismo, autosvalutazione, responsabilità dei propri insuccessi, danno poco valore agli obiettivi raggiunti, hanno poca fiducia negli altri, contano principalmente sulle proprie capacità.  Altri ancora, denotano una difficoltà a distinguere i propri stati emotivi, la fatica fisica, la sensibilità ai giudizi altrui; hanno la tendenza al perfezionismo.

Va evidenziato che il valore dei dati, in riferimento alle diverse personalità, è solo un esempio delle varie personalità; sono dati puramente indicativi, si possono riscontrare nell’adulto e non nell’adolescente, dove è variabile.

 

La conoscenza dell’atleta

La conoscenza dell’atleta serve ad avere degli elementi attraverso i quali poter programmare, valutare e verificare il lavoro del preparatore. Per conoscere l’atleta si possono utilizzare varie  strategie. Quelle maggiormente utilizzate in ambito sportivo  sono il colloquio e il profilo di prestazione.

 

Il colloquio rappresenta una tecnica molto importante dalla quale in un contesto molto spensierato si possono trarre aspetti  fondamentali di conoscenza del nostro portiere. Il colloquio deve essere strutturato (pre - impostato) dal preparatore in modo da contenere questioni e conseguenti punti di vista sui seguenti aspetti:

• identificazione dei punti forti e deboli;

• miglioramento della consapevolezza;

• vissuti pre-gara;

• obiettivi;

• reazioni fisiologiche (ansia, ecc.);

• rappresentazione mentale;

• concentrazione e distrazione;

• valutazione prestazione e reazione all’errore;

• emozioni;

• rapporto con l’allenatore;

• canali sensoriali prevalenti (si notano da come l’atleta si racconta).

Le domande devono essere specifiche e facilmente comprensibili dal nostro portiere cercando di utilizzare un linguaggio espositivo che sia il più comprensibile possibile utilizzando il linguaggio dell’allievo e che, comunque, verranno proposte in base alle risposte dell’allievo, facendo in modo che sia lui stesso a guidare il colloquio; ricordarsi che è l’allievo l’esperto della propria esperienza.

 

Il profilo di prestazione dell’atleta, serve ad avere la consapevolezza dei punti di forza e di debolezza, conoscere i bisogni del giocatore, sapere ciò che l’atleta reputa importante per poter gareggiare, valutare i progressi, esaminare la prestazione dopo la gara, rendere più motivante l’allenamento, poiché è l’atleta stesso che collabora a evidenziare l’importanza di lavorare su un aspetto piuttosto che un altro (Butler, 1989). Per conoscere l’atleta bisogna innanzi tutto delineare gli aspetti che sono necessari per una prestazione ottimale, incoraggiando l’atleta all’autovalutazione tramite un punteggio da attribuire ad ogni aspetto qualitativo della prestazione(es.tuffo voto 6,uscite voto 7,gestione dell'ansia voto5 ecc).

Può essere l’atleta stesso ad illustrare quali sono, a suo giudizio, le qualità specifiche che intervengono per migliorare la prestazione e darsi una valutazione; oppure è il preparatore che propone una serie 20 qualità dove l’allievo può scegliere quelle che a suo parere sono le più importanti  e il suo stato di preparazione attuale rispetto a quelle qualità.

esempio:

le 20 qualità vengono scelte tra i gruppi sottoelencati e trascritti nello spicchio di cerchio più esterno dello "schema del profilo dei progressi". foto 1

Una volta illustrate tutte le qualità più importanti, dal punto di vista mentale, fisico,

tecnico-tattico da inserire nell’ultimo spazio dello schema, l’allievo deve valutare il suo livello attuale in riferimento a ciascuna qualità con un voto da 0 a 10 usando il grafico del profilo di prestazione. Il punteggio massimo (10) va segnato nell’anello più esterno della figura, tutti gli altri a scalare; i punteggi inferiori a 4 vanno messi nel cerchietto centrale.

Per ogni qualità, l’anello corrispondente al voto, si può evidenziare in qualsiasi modo

(segno particolare, colore, ecc.).

 

gruppo qualità fisiche (forza, resistenza, scioltezza, forma, velocità, rapidità, destrezza, potenza, esplosività, respirazione, pulsazioni, tono muscolare);

gruppo qualità coordinative (equilibrio, reazione, ritmo, trasformazione, accoppiamento-combinazione, coordinazione oculo-manuale, anticipazione, differenziazione, orientamento, percezione della figura-sfondo);

gruppo qualità strategiche (obiettivi, pianificazione, tattica, tipo di gioco, profondità e aggressività nelle azioni tecniche, posizione in campo);

gruppo qualità psiche (concentrazione, controllo emotivo, rilassamento, visualizzazione);

gruppo qualità tecniche (presa, respinta, deviazioni, rinvii, bisettrice, palle inattive, uscite, ecc, );

gruppo qualità caratteriali (obiettivi, desiderio di vincere, disciplina, determinazione, autostima, fiducia, voglia di allenarsi e migliorare, regime alimentare adeguato, tempo da dedicare al gioco e all’allenamento);

gruppo qualità alimentari (peso attuale, composizione del grasso corporeo, alimentazione prepartita, alimentazione durante la partita, alimentazione dopo la partita, integratori alimentari).

 

Lo schema del profilo di prestazione o dei progressi ci permetterà di avere una conoscenza a 360° del nostro portiere

 

foto 1

 

 

Altri tipi di test per portare l’allievo alla autoconsapevolezza (conoscere i propri punti

forti e deboli, le cose da migliorare come portiere e come persona), come capacità imprescindibile per chi vuole diventare un atleta di alto livello, si possono avere in merito all’immagine di sé, chiedendo all’allievo di rappresentarsi scegliendo, da una apposita lista, degli aggettivi che lo possono rappresentare più di altri.

Questo serve a capire come l’allievo si percepisce e aiutarlo a migliorare la stima di sè

nelle parti in cui è carente.

Volendo trattare una lista di aggettivi (secondo Richard J. Butler) che descrivono l’immagine del sé di un atleta (il quale deve scegliere i più importanti) si possono citare i seguenti:

 

Profilo degli stati dell’umore

Il profilo degli stati dell’umore (Profile Of Mood States o POMS) noto come “profilo iceberg”, fa riferimento ad un elenco di sessantacinque aggettivi che valutano sei aspetti delle emozioni:

  • tensione

  • depressione

  • stanchezza

  • confusione

  • rabbia

  • vigore

In un secondo momento, la quantità degli aggettivi viene ridotta per facilitarne l’utilizzo.

In ambito sportivo è prevista una scala delle emozioni con venti aggettivi derivanti dagli

atleti e non dagli psicologi, come avveniva in un primo momento.

Essa serve per monitorare le sensazioni dell’atleta per averne una rappresentazione

chiara, in modo che il preparatore comprenda lo stato emotivo del proprio portiere e programmi l’allenamento di conseguenza aiutandolo a superare determinati atteggiamenti.

L’atleta deve dare un punteggio per ogni aggettivo da 0 a 10 in base a come si sente

in quel momento, che verrà segnato nell’apposita griglia di valutazione.

La scala delle emozioni fa riferimento alla teoria dei costrutti personali e nasce da una

idea di Mildred McCOY (1977); può essere impiegata nel periodo di preparazione

, nel momento vicino alle gare, dopo la disputa di una partita, ecc.

Compilando la scheda sotto elencata alla fine di un allenamento o di una partita e assegnando dei valori alle varie emozioni da 0 a 10 avremo una situazione indicativa dello stato d'umore del nostro portiere nella sua complessità.

 

Scala delle emozioni (Richard J. Butler 2003)

LE ABILITA' MENTALI

Per avviare un programma di allenamento mentale è fondamentale individuare un insieme di abilità da sviluppare.In riferimento al portiere di calcio abbiamo individuato le seguenti abilità

 

• prestazione eccellente o flow (peak performance);

• aspettativa di efficacia (self efficacy);

• formulazione degli obiettivi (goal setting);

• dialogo interiore (self talk);

• abilità immaginative (mental imagery);

• attivazione psicofisica (arousal);

• concentrazione;

• stress.

Una classificazione recente delle abilità mentali viene proposta da Weinberger e Gould

del 1995, partendo dal modello di Vealey del 1988, prevedendo una suddivisione delle

abilità mentali in tre sottogruppi:

di base (motivazione, autoconsapevolezza, autostima, fiducia in sé stessi);

di prestazione (ottimizzazione del livello di attivazione psicofisica, gestione ottimale dell’attenzione);

facilitatorie (capacità di relazione interpersonale, gestione dello stile di vita).

Nell’applicare un programma di mental training va instaurato un rapporto di fiducia

con l’allievo, si evidenziano punti forti e punti deboli, si applicano dei programmi personalizzati, si stabiliscono degli obiettivi, si monitorizzano i progressi, si realizza il programma in maniera costante, si propongono in allenamento e in partita delle tecniche specifiche, si rende l’allievo autonomo nell’applicazione delle tecniche.

Potrebbe essere utile allenare ogni settimana una abilità diversa.

 

Prestazione eccellente o flow

Il flow quale prestazione eccellente (peak performance), flusso di coscienza, esperienza ottimale, massimo coinvolgimento cognitivo ed emotivo, stato di benessere psicologico fa riferimento ad una condizione psicofisica sopra ogni aspettativa, rappresentata da un senso di benessere, da uno stato psicologico ottimale: utilizzo superiore delle potenzialità umane. Il primo ad occuparsi del flow fu lo psicologo americano Csikszentmihalyi negli ’70. Il campione olimpico di decathlon alle olimpiadi di Montral (1976), Bruce Jenner disse: cominciai ad avere la sensazione che non c’era niente che io non potessi fare, era come se fossi in possesso di una potenza senza limiti; mi faceva quasi paura la facilità con cui battevo ogni record personale; non ero sulla terra come tutti gli altri. Durante questa percezione di prestazione eccellente, si verificano diverse dimensioni che interagiscono fra di loro nel senso che, agendo su uno degli effetti, si riflettono anche sulle altre (Csikszentmihalyi, 1975).

Atleti di alto livello ribadiscono:

• di avere, in tali situazioni, una percezione del compito come una sfida stimolante, con la convinzione di affrontarlo con estremo successo, permettendo di estraniarsi da tutto il resto, risparmiare l’energia psicofisica per analizzare altre informazioni, svolgere il compito in maniera automatizzata e spontanea;

• la concentrazione diventa massima non lasciando spazio ad altre informazioni irrilevanti;

• vi è una assenza di paura, forte motivazione, determinazione, percezione di controllo della situazione, sensazione di gioia e carica fisica;

• ci si sente padroni dei propri movimenti e capaci di superare qualsiasi ostacolo, fiducia nelle capacità personali;

• si avverte un disorientamento spazio temporale (il campo sembra più grande, la

palla muoversi più lentamente);

• si ha un rilassamento fisico e mentale (scioltezza, fluidità, sicurezza dei movimenti, calma, concentrazione).

Durante questo momento, che può durare pochi minuti, uno o qualche giorno, si avverte questo stato soggettivo positivo e gratificante che è reso possibile dalla completa funzione tra azione e coscienza, stato di equilibrio e ordine psichico. L’equilibrio fra le richieste della situazione e le capacità personali percepite, favoriscono l’insorgenza del flow. Qualche studioso (Hall 1982), suppone che questa condizione può essere favorita da un intervento sinergico dei due emisferi cerebrali, considerato che in genere funzionano in maniera asimmetrica svolgendo compiti diversi. È importante altresì la cultura in cui in cui si vive, l’eredità culturale, il livello di istruzione, lo status socio economico, l’educazione familiare. Il fatto di provenire da situazioni disagiate molto spesso può essere un vantaggio, poiché favorisce l’utilizzo di attività fisiche che richiedono energie individuali e poche risorse materiali. Alcuni, sperimentano in maggior misura vissuti di flow rispetto ad atri (personalità autotelica), essendo predisposti per diversi motivi: capacità di mantenere la concentrazione più a lungo; capacità di vedere gli ostacoli come sfide; capacità di sentirsi responsabili del controllo delle proprie azioni con uno stimolo maggiore della motivazione interna.

Non è possibile allenare il flow, ma è realizzabile occuparsi delle condizioni che lo favoriscono; infatti, l’intensità e la frequenza del flow sono strettamente correlate ad abilità e a componenti psicologiche quali: fiducia pre-gara, pensiero positivo, motivazione, focalizzazione attentiva, reattività fisica, livello di attivazione psicofisiologica, definizione degli obiettivi, feedback. Il flow non può essere sperimentato in una situazione di ansia o di scarsa autostima.Per studiare lo stato di flow sono state strutturate diverse metodologie tra cui la Flow State scale (Jackson & Marsch, 1996). Questa scala come strumento di indagine, è stata tradotta in lingua italiana (Muzio, Nitro & Costa, 1998); applicata in campo sportivo e sono stati sostituiti alcuni termini per avere una maggiore chiarezza interpretativa. La scala è composta da 36 items suddivisa in 9 sub-scale che rappresentano le nove dimensioni del flow individuate dagli autori. La scala proposta in questo lavoro è stata leggermente modificata in alcuni termini e nel numero degli items. L’atleta viene invitato a ricordare una recente prestazione eccellente cercando nella scala le sensazioni avvertire e attribuendo un valore da 1 a 5.

Le 9 dimensioni della FSS sono:

• D1: equilibrio tra sfida e abilità;

• D2: unione tra azione e coscienza;

• D3: mete chiare;

• D4: feedback immediate;

• D5: concentrazione sul compito;

• D6: senso di controllo;

• D7: perdita della autoconsapevolezza;

• D8: destrutturazione del tempo;

• D9: esperienza autotelica.

Alcune di queste dimensioni sono delle condizioni predisponenti al flow (D1, D3, D4),

mentre le altre descrivono le caratteristiche del vissuto di flow.

 

 

 

Aspettativa di efficacia

L’aspettativa di efficacia (self efficacy) è rappresentata dalla fiducia nelle proprie capacità per affrontare una situazione competitiva che può influenzare fortemente la prestazione. La maggior parte degli atleti di grande successo crede fermamente nelle proprie risorse e capacità, impegnandosi ad utilizzare tutti i mezzi a disposizione. Chi crede di non riuscirci, probabilmente così sarà. Alcuni giocatori partono già sconfitti prima di entrare in campo, poiché pensano a sconfitte o errori fatti nelle precedenti gare, si stimano incapaci, fermano il loro pensiero su aspetti negativi. Bisogna abbandonare le <<credenze limitanti>> (non sarò mai un campione, le gare importanti le ho sempre perse, ecc.) e sostituirle con le <<credenze potenzianti>> (con l’allenamento e l’impegno diventerò più bravo) per acquisire forza, determinazione, convinzione di potercela fare (Livio Sgarbi 2004). Per favorire questa situazione, oltre alle capacità, all’abilità e alla motivazione, si necessita di ottimismo e di convinzione di essere all’altezza della situazione. Chi pensa di non farcela, di non essere capace, è perdente in partenza. Chi ha scarsa fiducia in sé tende a diminuire il proprio impegno, evitare il compito proposto, attribuire gli insuccessi a incapacità personali e i successi a cause esterne. Viceversa chi ha fiducia in sé e autostima, ha voglia di impegnarsi e di raggiungere gli obiettivi. Rappresentare il successo migliora la prestazione.È opportuno allenare la capacità di conservare la fiducia in sé in situazioni che la escluderebbero. <<Il vero successo non consiste nel non cadere, ma nel rialzarsi ogni volta che si cade>> (Vince Lombardi). È rilevante sviluppare un pensiero positivo eliminando tutte le cose negative, che in genere si caratterizzano con delle espressioni ben precise: << non sono sicuro nelle uscite >>, , << penso di non farcela >>, << ho deluso l’allenatore >>, ecc. Tutte queste limitazioni, autosvalutazioni, paura di cosa accadrà, dubbi su di sé, timore di deludere gli altri non consentono di esprimersi al meglio. Il preparatore deve essere attento nel percepire queste difficoltà espresse dall’allievo e aiutarlo a superarle, in primo luogo facendo sostituire le affermazioni negative con quelle positive. Anche usare dell’ironia può essere di aiuto.

Boris Becker (grande tennista) sosteneva: “dico a me stesso che la cosa peggiore che può capitare è perdere una partita di tennis, il che è tutto”.

I pensieri positivi sono legati anche alla fiducia che l’allievo ha di sé, come consapevolezza di riuscire ad eseguire un compito prima di eseguirlo (Mildred McCoy 1977). Il successo aumenterà la fiducia in sé e l’autostima, l’insuccesso la farà diminuire (Bandura). La fiducia in sé può essere anche stimolata da esperienze sostitutive, come ad esempio vedere gli altri riuscire, che può fare scaturire la convinzione di essere capaci; da incitamenti e incoraggiamenti verbali (dai che puoi farcela, sei il più forte, ecc.), come tecniche persuasive suggestionanti per convincere l’allievo che può esprimersi con successo. Va detto che tuttavia, queste tecniche persuasive sono più deboli e meno incisive rispetto all’esperienza del successo personale in precedenti occasioni. Un esercizio che porta alla consapevolezza di un atteggiamento positivo, si chiama “inquadramento positivo della mente”. Esso consiste nell’invitare l’allievo a descrivere tre aspetti che lo caratterizzano in relazione a degli argomenti guida come:  

• belle parate e punti di forza;

• miglioramenti fatti negli ultimi sei mesi;

• partite di cui si sente soddisfatto;

• aspetti dell’allenamento che sono stati curati particolarmente;

• prossimi obiettivi.

È necessario che le frasi siano formulate dall’allievo, senza suggerimenti del preparatore

o dello psicologo; vanno annotate in un foglio di carta; gli argomenti vanno formulati in

positivo. Una strategia che solo di tanto in tanto si può utilizzare è quella di dare falsi feedback, facendo credere di avere raggiunto un certo risultato quando in realtà si è solo avvicinato. In caso di sconfitta o di insuccesso, un atteggiamento negativo è rappresentato dall’attribuzione del proprio esito negativo a fattori interni e stabili (sono buono a nulla, non migliorerò mai, ecc.). Il preparatore, in questi casi, deve intervenire per migliorare l’immagine di sé, attribuendo situazioni realistiche e positive. Si deve fare di tutto per migliorare la stima dell’allievo, in modo tale che la prestazione sia affrontata con la massima fiducia. A tal proposito, due studiosi (Deborah Feltz, Dan Goul) suggeriscono un insieme di proposte per incrementare la fiducia nell’allievo:

• esaltare e incoraggiare sempre in positivo, dopo l’esecuzione di un compito (sei

migliorato parecchio, hai un ottima presa, ecc.);

• dare suggerimenti su quello che va fatto e non su quello che non va fatto (sostituire la frase << non tuffarti con le gambe diritte >> con << piegati bene sulle gambe >>,  le frasi su cosa non va fatto trasportano l’informazione in senso negativo e creano dubbi;

• proporre all’allievo di autoelogiarsi con delle frasi sulle proprie capacità (sono

forte, sono bravo, ho un rinvio micidiale, ecc.);

• convincere l’atleta che i risultati ottenuti sono dovuti alle proprie capacità e che

sta seguendo un allenamento completo;

• abituare l’allievo ad analizzare e valutare la prestazione specialmente dopo una

vittoria, dandosi anche un punteggio;

• spiegare all’allievo che, prima della gara, i segnali che potrà avvertire (aumento

del battito cardiaco, respiro affannoso, sudorazione, ecc.), prepareranno il corpo

ad affrontare l’incontro;

• incoraggiare il successo della prestazione in virtù delle precedenti esperienze e

al fatto che in allenamento sono stati curati tutti i particolari.

 

Formulazione degli obiettivi

La formulazione degli obiettivi (goal setting) ha il compito di dirigere l’attenzione su un

compito ben preciso, con la conseguenza di aumentare la motivazione. Saper organizzare adeguatamente un intervento didattico è una delle competenza chiave del preparatore , volta a favorire un progressivo miglioramento delle prestazioni motorie. La scelta di lavorare in un modo piuttosto che in un altro, è di vitale importanza in quanto determina il livello della performance.È preferibile che gli obiettivi siano scelti insieme all’allievo ottenendo una maggiore responsabilizzazione e riuscendo ad avere risultati migliori, perché se vengono imposti può venire meno l’interesse a realizzarli. La formulazione degli obiettivi prevede una classificazione dei risultati da raggiungere a breve (una o più settimane), medio (uno o più mesi) o lungo termine (molti mesi, anni); vanno monitorati rilevandone i progressi attraverso confronti, punteggi, istruzioni verbali, definendone degli altri nel momento in cui vengono raggiunti. Serve da punto di riferimento per controllare la prestazione attuale con quella desiderata. Non esistono persone pigre, non motivate; esistono solo persone che hanno obiettivi deboli che non suscitano emozioni forti. Questo è quanto emerge dalle più moderne ricerche delle neuroscienze. <<Occorre usare la fiducia per raggiungere il successo e non il

successo per raggiungere la fiducia>>. Alcuni autori hanno formulato una serie di linee guida:

obiettivi precisi regolano l’azione in modo più preciso di obiettivi generali;  

più alto è l’obiettivo, migliore sarà la prestazione, tenendo in considerazione il

livello dell’allievo;

• gli obiettivi sono efficaci in presenza di feedback che ne evidenziano i progressi;

obiettivi difficili, ragionevoli e realistici, richiedono impegno che determina presta

zioni migliori;

obiettivi facili determinano decrementi di prestazione;  

• mettere in risalto obiettivi di prestazione (per esempio migliorare la tattica,

la tecnica, ecc.), piuttosto che di risultato (vincere una partita) che creano molta

pressione e meno controllo.

Gli allievi che hanno obiettivi di prestazione interpretano ogni situazione come una opportunità per migliorare; viceversa, quelli con obiettivi di risultato tendono a valutarsi in

base al confronto con gli altri. Alcuni soggetti, stimolati dal confronto con gli altri e dalla

volontà di riuscire, sviluppano degli obiettivi spontanei.

Quindi, affinché gli obiettivi siano efficaci, bisogna tenere presente i seguenti aspetti:

devono essere specifici, precisi, chiari; riferiti ad aspetti cognitivi e motori; di risultato

e di prestazione; scanditi nel tempo (breve, medio, lungo termine); realistici, significativi e motivanti; stabiliti di comune accordo; verificati, misurati, autovalutati, registrati; adattati alle caratteristiche di ognuno. Gli allievi più bravi e motivati al successo, scelgono obiettivi elevati e stimolanti; diversamente, allievi meno bravi, poco fiduciosi scelgono obiettivi che sono sicuri di realizzare. Lo stesso vale tra chi ha già avuto esperienze di successo e chi ha sperimentato l’insuccesso.

In assenza di obiettivi a breve-medio-termine, può scadere la motivazione e si perdono

di vista quelli a lungo termine. Non bisogna stabilire molti obiettivi, ma è utile preparare una gerarchia realizzando prima quelli più importanti e una volta raggiunti passare agli altri. Ciò nonostante, gli allievi più bravi e più esperti, riescono a gestire maggiori obiettivi di quelli meno bravi. Gli obiettivi vanno comunicati sia per l’allenamento che per la gara; l’accento va messo su comportamenti da attuare piuttosto che su quelli da eliminare; favorire gli obiettivi di prestazione, oltre al confronto con gli altri, viene avvalorato il miglioramento personale,

aumenta la fiducia nelle proprie capacità, si riduce l’ansia dovuta al raggiungimento del

risultato a tutti i costi, aumenta la possibilità di successo. Un obiettivo didattico rappresenta la formulazione in termini operativi di una meta formativa, cioè una affermazione indicante ciò che un allievo dovrebbe saper fare ad una determinata età, come risultato dell’apprendimento offertogli; è necessario tenere sempre in considerazione le caratteristiche di ogni allievo, nonché il tempo dedicato alla pratica di questo sport.

Intanto, si deve partire dal presupposto se si intende fare arruolamento (portare più praticanti possibili al campo badando poco alla qualità), oppure fare anche della specializzazione.

Una cosa è creare il “campioncino” all’interno del girone locale, cosa diversa è fare l’agonista

che si fa valere anche fuori dal suo territorio in ambito regionale, nazionale o internazionale.

 

Dialogo interiore

Indirizzare in un modo positivo il contenuto del proprio pensiero è indispensabile ai fini

della prestazione. Il dialogo interiore (self-talk), serve per parlare con se stessi. I pensieri possono influenzare il comportamento attraverso il dialogo interiore: quelli positivi favoriscono le capacità prestative, quelli negativi sono fortemente condizionanti. È chiaro però che bisogna programmare un allenamento affinché siano controllati i pensieri: dialogo interno attraverso parole stimolo, rinforzanti, autosuggestionanti per una percezione di autocontrollo e autoinduzione emotiva, favorendo anche la concentrazione, aiutando l’atleta a focalizzare l’attenzione sugli elementi rilevanti per la prestazione. Il dialogo interiore dovrebbe essere sostanziale, perché una eccessiva verbalizzazione può disorientare.

L’argomento delle dichiarazioni va riferito agli obiettivi desiderati e non agli errori da

annullare; il dialogo interiore deve essere sicuro, deciso e potenziante per infondere fiducia e certezza, per attivare una maggiore fiducia nelle capacità personali. <<Un nuotatore olimpico deve mettersi sul blocco e ripetersi una delle affermazioni forse più terribili e arroganti che possono esistere: sono il migliore del mondo! E crederci al centodieci per cento>> (Dunca Goodhev, medaglia d’oro olimpica di stile rana). Può essere rappresentato da brevi parole stimolo (forza, dai, su, andiamo, ecc.), monologhi e frasi (sempre pronto, attaccalo prima che si giri con la palla, non farlo tirare, guarda la palla, gioca con attenzione e concentrazione, ecc.).

 

Abilità immaginative - importantissime per il portiere

Nelle abilità immaginative (mental imagery), rientrano anche la visualizzazione e l’allenamento ideomotorio, che possono essere eseguite autonomamente, guidate, svolte

individualmente o in gruppo. Esse fanno riferimento alle capacità di anticipare, rivedere, correggere la prestazione, prepararsi alla gara. È essenziale però che la pratica mentale sia associata a quella fisica (Howe 1993). Le immagini possono essere di tre tipi:

>riproduttive quando fanno riferimento ad un’azione già eseguita;

>creative quando si crea una situazione nuova;

>emotive quando richiamano situazioni associate ad altre (come per esempio la determinazione che si può leggere negli occhi di una tigre, la velocità del ghepardo, ecc.).

Secondo molti autori (Jacobson, Avener, Shaw, Mahoney), le immagini si suddividono in interne ed esterne. Quelle interne, chiamate anche cinestetiche, sono le più efficaci per migliorare le prestazioni soprattutto di atleti evoluti. Consistono nell’immaginare una attività come se la si stesse eseguendo realmente; ad esempio concentrarsi sulla respinta facendo attenzione che la palla venga inviata lateralmente e non verso il centro dell'area, immaginarla in tutti i canali sensoriali motori (visivo, uditivo, cinestetico, tattile), imparando a sentire il movimento durante l’esercizio. Le immagini esterne (più utili ai principianti e comunque meno efficaci perché più soggette a situazioni distraenti), comportano il vedersi dall’esterno durante la prestazione come se si vedesse in televisione da spettatore. È bene utilizzarle entrambe, preferendo all’inizio quelle esterne e in una fase più avanzata quelle interne.

La durata dello schema immaginativo si deve aggirare intorno ai tre/cinque minuti, perché superando questa soglia si rischia la decadenza dell’immagine. L’immagine deve essere sempre preceduta da un rilassamento, mediante il quale si riduce la funzione dell’emisfero destro dove risiedono il pensiero e le immagini (Martens 1987); per renderla più reale deve essere rappresentata in maniera nitida e con controllo, con più modalità sensoriali;  deve avere valore positivo; affinché sia efficace, bisogna che sia esercitata fisicamente prima della visualizzazione e alla fine quando la visualizzazione è riuscita. L’immaginazione può avere applicazione nella pratica sportiva per acquisire nuove abilità dove per esempio il preparatore dimostra un determinato gesto tecnico e l’allievo lo immagina eseguito da sé stesso. Lo scopo è di codificare il movimento attraverso l’immagine (teoria dell’apprendimento simbolico) per facilitarne la messa in pratica. Le finalità immaginative sono: apprendimento e perfezionamento delle abilità; incremento delle abilità-capacità percettive (canali sensoriali); elaborazione e ripetizione delle strategie di gara; controllo delle risposte fisiologiche (attivazione, disattivazione); allenamento delle abilità mentali (per es. immaginare di conseguire determinati obiettivi); recupero infortuni.

Le immagini per essere efficaci devono avere: vividezza e controllabilità (chiare, reali,

precise, dinamiche); correttezza (il movimento deve essere immaginato correttamente nei punti fondamentali, i principianti sono meno precisi dei giocatori esperti, per la precisione delle immagini sono utili istruzioni verbali, dimostrazione pratica, fotografie, filmati, disegni, ecc.); allenamento sistematico e continuo con cadenze determinate; esperienze precedenti (nei soggetti esperti sono più efficaci); attenzione ricettiva dell’allievo (deve credere in quello che sta facendo); direzione dell’immagine (immaginazione dissociativa per distrarsi come fanno i fondisti nella corsa, ecc.); età, capacità intellettive, personalità, motivazione (Robazza, Chevalier, Denis, Hall, Smith). L’immagine può servire anche per rendere più fluidi e automatici dei movimenti già presenti per migliorarli. Ulteriori impieghi delle immagini possono avvenire per apprendere strategie di gioco, per familiarizzare con ambienti sconosciuti (campo di gioco) dove bisogna competere, al fine di contenere il livello di ansia; esaminare dei problemi di prestazione; attivare o disattivare un particolare stato d’animo; regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea, il ritmo respiratorio, ecc.; padroneggiare la fatica, il dolore con immagini dissociative riferite a situazioni piacevoli; sicurezza e fiducia in sé, controllo emotivo, rimanere concentrati. Mentre i principianti possono utilizzare le immagini per apprendere o migliorare la tecnica, gli atleti agonisti le possono impiegare per ulteriori impegni. Le immagini interne possono servire anche ad attivare dei meccanismi di motivazione verso il raggiungimento di particolari obiettivi (immagini meta: prima della gara immaginare la vittoria, la premiazione, ecc.). Le immagini possono servire durante l’allenamento, prima, durante e dopo la gara. Prima delle applicazione delle immagini, bisogna che l’atleta sia convinto e disponibile; valutare la sua capacità immaginativa; proporre il programma e la valutazione degli obiettivi. Il tipo di visualizzazione più usata dagli atleti è quella dell’anticipazione mentale preparandosi alla gara immaginando e scorrendo nella mente nei giorni precedenti i seguenti aspetti: luogo, spogliatoi, campo di gioco, tipo di superficie, modello di avversario, riscaldamento, tattica da adottare, schemi di gioco. John Newcombe dichiarò: <<Mi immaginavo mentre camminavo sul campo, tirando

a sorte per il servizio, fotografi intorno; la notte precedente scorrevo mentalmente e

facevo un elenco di ogni cosa che sapevo sull’incordatura e di ogni frammento di informazione, poi andavo a letto>>. La campionessa olimpica Silvie Bernier affermò: <<Ho seguito mentalmente i miei tuffi; cominciavo con un tuffo in avanti, il primo che dovevo eseguire nel programma olimpico e facevo ogni cosa come fossi realmente presente; vedevo me stessa sul trampolino mentre mi preparavo a tuffarmi e poi mentre eseguivo il tuffo; se andava male, tornavo indietro e ripetevo mentalmente un’altra volta>>. Il golfista Jack Nicklaus in una intervista attestò: <<Non tiro mai un colpo senza averlo prima ben visualizzato in mente. Prima di tutto vedo dove voglio mandare la palla. Poi vedo la palla che ci va, la sua traiettoria e il suo atterraggio: <<l’immagine successiva è che prendo lo slancio che trasformerà le immagini precedenti in realtà>>. Dal punto di vista scientifico l’efficacia delle abilità immaginative, sembra che inneschi e predisponga, tramite dei piccoli impulsi, le stesse vie nervose coinvolte nel momento in cui vi è il trasferimento di un impulso motorio attraverso la pratica (teoria psiconeuromuscolare con l’aiuto dell’analisi elettromiografica) (Harris, Robinson, Jowdy, Zecher). Va ricordato che la mente stenta a distinguere cose vividamente immaginate da cose realmente vissute. Le immagini sono più efficaci quando sono polisensoriali coinvolgendo tutti i sensi come sensazioni visive, cinestetiche, tattili, uditive, vestibolari vivendo le stesse sensazioni che si vivono in quella situazione visualizzata (visualizzazione associata).

Attivazione psicofisica

L’attivazione psicofisica (arousal), ha il compito di preparare il corpo all’azione conferendogli la carica e permettendo l’accesso alle risorse energetiche dell’organismo. La tensione muscolare, la frequenza cardiaca, il dispendio energetico derivanti da una attivazione alta diminuiscono la prestazione. Questi sintomi a un livello accettabile e superiore allo stato normale di riposo, vanno considerati in maniera positiva come energia, carica, preparazione dell’organismo a gareggiare. Tuttavia, nell’apprendimento di compiti difficili, coordinativi e nuove abilità, i livelli di attivazione vanno mantenuti bassi.

È importante che l’allievo abbia la consapevolezza dell’attivazione ottimale e dargli i mezzi per controllarla, attraverso l’applicazione di esercizi che consentono l’attivazione e la disattivazione al momento opportuno e al bisogno. Così, per esempio, la respirazione può essere usata come tecnica attivante o disattivante: è attivante con respiri frequenti toracici; è disattivante con un basso numero di frequenze respiratorie a livelli diaframmatici e addominali .Un’altra tecnica di attivazione può essere la visualizzazione di azioni di gioco e di risultato: rilancio nella tre quarti avversaria su un compagno; uscita su un cross, anticipazione in un calcio di rigore ecc. Altre tecniche di incitamento (Psyching-up) usano parole stimolo che trasmettono la carica necessaria; ricordano i propri punti di forza; visualizzano la vittoria, l’applauso. Anche la musica è in grado di elevare o diminuire l’attivazione con la scelta di determinati brani musicali. Quando si ha una attivazione bassa (come ad esempio quando si sottovaluta la gara), entrano in gioco situazioni non attinenti con il compito, creando disturbo e distrazione. Anche la percezione visiva è in stretta correlazione con l’attivazione, infatti una attivazione troppo bassa causa processi attentivi ampi, soggetti a distrazione; una attivazione troppo alta, origina un restringimento eccessivo del focus attentivo che non consente di cogliere informazioni importanti. Essere coscienti che l’energia fisica influenza quella psichica e viceversa (Robazza). Il grado di attivazione è diverso per ogni soggetto; per lo svolgimento dello stesso compito, l’attivazione del principiante è differente da quella del giocatore esperto; così ad esempio gli atleti di valore si esprimono meglio in partita dove è presente un livello di attivazione più alta. Per riconoscere il grado di attivazione ottimale, può essere utile provare in allenamento con esercizi vari, diversi livelli di attivazione per notare i cambiamenti della prestazione.

La concentrazione

Per concentrazione si fa riferimento a quell’energia psicofisica, che consente ad un giocatore di astrarsi da tutti quegli elementi che durante una partita possono arrecare disturbo, per realizzare un obiettivo da raggiungere. Per la gestione dei processi attentivi è importante imparare a selezionare gli stimoli rilevanti trascurando tutti gli altri; attivare l’attenzione al momento opportuno, mantenerla nei momenti importanti. Bjorn Borg disse <<ogni colpo deve essere giocato come se fosse un match point>>. <<Se decido di impegnarmi in qualche cosa penso sempre al successo, non penso a cosa succederebbe se dovessi fallire>> (Micheal Jordan). La capacità di dirigere l’attenzione, dipende anche dalla motivazione, dal desiderio

interiore di riuscire in una determinata cosa e dall’autostima; a volte, nonostante ci possa essere l’interesse e la motivazione a concentrarsi, pensieri estranei non lo permettono. Si pensi che anche bassi livelli di zuccheri nel sangue, disidratazione, mancanza di sonno possono determinare insufficiente concentrazione, agitazione, irritabilità, scarsa reazione, incapacità di prendere decisioni. La concentrazione rappresenta un elemento indispensabile nel gioco  in quanto permette di giocare al meglio in ogni situazione, di impostare la partita con lucidità, circa gli interventi tecnici da attuare momento per momento. L’atleta riuscirà a concentrarsi, nel momento in cui saprà mettere a fuoco la sua attenzione su tutti i segnali che possono derivare dalla gara (compagni, posizione del pallone, posizione del proprio corpo e dell’avversario). Deve essere in grado anche di estraniarsi da tutti i segnali oggetto di distrazione (pubblico, rumori, vento, ecc.).

I nemici della concentrazione sono:

distrazioni e interruzioni;

difficoltà a tollerare le frustrazioni;

stress, percezione della fatica;

emozioni, atteggiamento mentale negativo, dubbi sulle proprie capacità;

basso livello di attivazione che lascia spazio anche a stimoli irrilevanti.

Molto spesso l’attenzione viene indirizzata sulle difficoltà trascurando tutti gli aspetti che potrebbero scaturire effetti positivi. Questo aspetto viene reso reale da un semplice esercizio con l’utilizzo di un numero uguale di oggetti colorati (birilli, coppelle, ecc.) di colore diversi (blu, verde, nero, ecc.) posizionati in uno spazio delimitato, dove bisogna trovare tutti gli oggetti di colore blu e annotarli in un foglio, poi senza staccare lo sguardo dal foglio e senza guardare gli oggetti, bisogna scrivere il numero degli oggetti di colore nero; di sicuro il numero degli oggetti di colore nero saranno inferiori a quelli di colore blu, poiché quando si focalizza una cosa, tutto il resto passa in secondo piano. Per allenare questa capacità, è importante che, in allenamento, vengano dati all’allievo obiettivi ben precisi in campo, spostando il centro di attenzione; adottate tecniche di rilassamento, meditazione, gestire bene le pause, favorire il dialogo interiore. Per quanto attiene al primo aspetto (obiettivi in campo), si può parlare di flessibilità mentale, cioè essere in grado di spostare continuamente il centro di attenzione. Quello che è importante, è fare passare l’allievo da una percezione all’altra. Durante la partita, per non perdere la concentrazione, dopo un errore può essere utile

l’immediata correzione immaginativa concentrandosi su quello che va fatto, evitando i giudizi di svalutazione e i vari commenti negativi.Una parte di allenamento, può essere condotta anche attraverso il condizionamento alla concentrazione con stimolo ottico e con l’associazione dei colori.

Alcuni esercitazioni per allenare la concentrazione, si basano nell’esaltare le zone di

campo ,con dei colori. dove indirizzare la palla ad esempio nei rilanci  Infatti, certi colori, chiamati complementari (rosso-verde-giallo-blu) catturano la visione, perché quando si trovano vicini, ciascuno di essi aumenta d’intensità. Questo effetto viene chiamato contrasto simultaneo e viene usato anche per le insegne e le segnalazioni navali. Gli esercizi con i colori,

consistono nell’eseguire dei rilanci  in determinate zone utilizzando i colori, successivamente bisogna eliminare i riferimenti colorati agendo come se fossero presenti nella zona di riferimento dove indirizzare i rilanci  . La concentrazione si può allenare anche facendo esercitazioni atletiche come ad esempio: l’allievo facendo lo skip, la corsa calciata, la corsa balzata, ecc., deve guardare attentamente la mano del preparatore che cambierà continuamente i numeri con le dita o attraverso dei cartelli numerati, che l’allievo dovrà pronunciare durante il percorso, ecc.  

Il calcio è uno sport che richiede livelli di attenzione diversi. Per adattare l'attenzione alle situazioni di minore o maggiore impegno, occorre impostare l’allenamento per spostare continuamente l’attenzione dove serve, per automatizzarle e chiamarle in causa al bisogno senza fatica. Tutti gli elementi distraenti (difficoltà ad allontanare il pensiero da ciò che è appena accaduto, dagli spettatori, dalle condizioni climatiche, dall’arbitraggio, dai pensieri riferiti a ciò che accadrà dagli sviluppi della situazione in atto, ecc.) non consentono un focus

attentivo ideale e danneggiano la prestazione.

 

Lo stress

Il termine “stress” viene associato a situazioni che cagionano reazioni soggettive di

ansia o tensione, causando problematiche a livello fisiologico, comportamentale e cognitivo.

L’ansia pre-gara va vissuta come energia che circola nel corpo che si prepara a dare il massimo (C. Feresin, 1998). <<Chiunque decida di impegnarsi a realizzare un obiettivo straordinario, deve imparare a convivere con lo stress e a trasformarlo in un prezioso generatore di energia>> (Livio Sgarbi). L’ansia dipende dalla percezione dell’avvenimento da parte dell’atleta e non dall’evento in se. Nelle discipline a prevalente determinazione tattica, bisogna padroneggiare più abilità nello stesso momento con un affaticamento mentale che, se intenso e prolungato, può procurare stress. Gli effetti possono essere scarsa prestazione con difficoltà a concentrarsi, confusione tattica, riduzione di autostima, alterazioni del sonno, tendenza agli infortuni, abbandono della pratica sportiva, affaticamento, cefalee, inappetenza, problemi digestivi, rigidità e tensioni muscolari, crampi, perdita della coordinazione e della fluidità dei movimenti. L’ansia può essere di tratto e di stato (Spielberger 1966). L’ansia di tratto è una condizione stabile che si manifesta con delle paure fortemente negative che portano alla nike fobia, procurando tensione e inquietudine. L’ansia di stato ha una funzione transitoria che si può verificare anche nei giorni precedenti la gara con grande sudorazione, aumento del battito cardiaco. In caso di ansia elevata prima della gara, è importante eseguire degli esercizi come corsetta, scatti, prove tecniche, tecniche di rilassamento, tecniche che mirano a sostituire le rappresentazioni interne negative con altre positive (dialogo interiore, frasi autosuggestionanti, visualizzazioni, ecc.). L’ansia di stato provoca anche incertezza, timore, agitazione psicomotoria. L’ansia può essere anche cognitiva (mentale), che interessa pensieri, emozioni, scarsa fiducia e stima di sé, preoccupazione; somatica (fisiologica), che si manifesta con tachicardia, sudore, tremore, tensione muscolare. Quello che bisogna fare capire è che l’ansia non è del tutto negativa, perché ad un’ansia bassa corrisponde una bassa attivazione e quindi una bassa performance. Il grado di ansia dovrebbe essere medio in modo da non compromettere le capacità prestative. L’ansia cognitiva può essere ridotta attraverso la determinazione degli obiettivi, il dialogo interiore con parole e frasi stimolo, rinforzanti e positive; l’ansia somatica può essere controllata tramite tecniche di rilassamento corporeo. L’ansia cognitiva, si avverte soprattutto durante la prestazione e prosegue in base all’andamento della gara; l’ansia somatica tende a scomparire all’inizio della gara (Martens 1990). L’ansia vede l’avversario e non il proprio gioco, è una paura senza oggetto, chi pensa di non poterla controllare, aumenta il comportamento negativo; viceversa, può essere interpretata come segnale di preparazione dell’organismo alla competizione. Questo è stato confermato da numerosi test eseguiti su sportivi di ogni genere. Le tecniche di rilassamento servono per gestirla al meglio e non per annullarla. L’ansia con un valore molto basso è dannosa allo stesso modo di un valore molto alto. È importante la consapevolezza per riconoscere gli stati emotivi, la modulazione e la gestione. Essa può essere un alleato o un nemico; è la carica fino a quando non blocca perché eccessiva; fa parte del nostro vivere quotidiano allo stesso modo della rabbia, della vergogna, dell’amarezza: è uno stato d’animo. Altre cause di stress possono essere: viaggi e trasferte (luoghi, distanze, ritardi, attese); noia; ospitalità non ideale (letti scomodi, bagni in comune, ecc.); scarsa organizzazione (carenza di informazioni, ritardi, cambiamenti, ecc.); spettatori (autografi, pubblico ostile, disturbatori); stampa (intrusioni, aspettative smisurate, richieste inopportune, interviste). In genere, chi ha una certa fiducia nelle proprie capacità, chi ha vissuto maggiori esperienze di successo, riesce a gestire meglio gli stati ansiosi. Inoltre, alcuni fattori che possono provocare ansia (come la presenza del pubblico), possono essere stressanti per un giocatore e stimolanti per un altro. Un programma di allenamento per la gestione dell’ansia, va proposto qualora ostacoli le capacità prestative o per creare un senso di benessere a prescindere dal risultato sportivo. (Murphy e Woolfolk, 1987) La diminuzione dell’ansia non comporta necessariamente un aumento della prestazione; ci possono essere degli atleti, che, senza avere seguito tecniche particolari di gestione dell’ansia, riescono in maniera autonoma a far fronte a situazioni complesse durante la gara. Un altro metodo per controllare l’ansia viene chiamato Flooding o modello di estinzione, facendo immaginare le scene che provocano tensione per almeno 30/40 minuti con immagini chiare e polisensoriali, oppure farle vivere realmente in allenamento .Ogni allievo dovrebbe essere abituato, tramite l’allenamento, ad avere la capacità di allontanare lo stimolo stressante sostituendolo con dei compiti ben precisi (ad ogni pausa contare due/tre atti respiratori o sbattere i tacchetti a terra o sui pali, ecc.) e associarlo a pensieri e visualizzazioni positive.

 

 

Metodi alternativi alle singole

 

abilità mentali

 

 

Alcuni metodi alternativi  di allenamento mentale (la cui efficacia viene confermata da numerosi studi ed esperimenti), sono :

  • la Five-Step strategy di Robert Singer

  • il Visual-Motor Behavior Rehearsal di Richard M. Suinn.

 

 

 

 

Five-Step strategy

 

Questo metodo, consiste nel mettere insieme cinque diversi aspetti del mental training

per renderli più efficienti, da ripeterli fino a quando non vengono automatizzati.

La prima fase è la preparazione per ottenere una attivazione ottimale, ricercare la

concentrazione (controllo del respiro, percepire il battito cardiaco, la postura, ecc.),

rivivere situazioni precedenti di successo;

La seconda fase consiste nell’immaginare in maniera polisensoriale (visiva, cinestetica, tattile, uditiva, vestibolare) le varie fasi di un movimento o di uno schema tecnico-tattico;

La terza fase prevede la concentrazione su una immagine importante dal punto di vista tecnico-tattico (ad esempio rilancio per il contrattacco,uscita su presa alta su calcio d'angolo,ecc.), per eludere tutti quei fattori distraenti;

La quarta fase realizza ciò che è stato programmato ed elaborato mentalmente, che va

fatto senza pensare al movimento e al risultato, cioè in maniera automatica;

La quinta fase è rappresentata dalla valutazione-analisi del risultato e della prestazione per correggere eventuali errori in una prova susseguente e per consolidare le tracce corrette

già effettuate.

 

 

Visual-Motor Behavior Rehearsal o VMBR

 

Questo secondo metodo è la riproduzione visiva del comportamento, per memorizzare

e perfezionare la tecnica o la tattica, facilitare il passaggio di ciò che si è appreso in

allenamento durante la gara, riconoscere e correggere errori, esercitare la concentrazione, gestire lo stress, elevare la fiducia nelle proprie capacità.

Nella prima fase di questo metodo, l’allievo viene guidato al rilassamento con la tecnica di Jacobson (vedere rilassamento muscolare analitico) e alla visualizzazione di un’azione di gioco di successo.E' essenziale l’accoppiamento rilassamento-visualizzazione;

Nella seconda fase viene combinato il rilassamento con le azioni di successo tramite le immagini;

La terza fase prevede che il soggetto riviva in maniera autonoma le fasi precedenti. Acquisite le abilità di rilassamento e di visualizzazione, il lavoro viene spostato su obiettivi individuali.

È rilevante sottolineare che il metodo VMBR richiede costanza, le visualizzazioni devono rappresentare il gesto e l’immagine corretta.

 

Elaborazioni training autogeno
 

I metodi che derivano da elaborazioni del training autogeno in campo sportivo sono:

il rilassamento muscolare analitico, il rilassamento respiratorio analitico, la musicoterapia, l'allenamento ideomotorio.

 

Il rilassamento muscolare analitico

Questa forma di rilassamento si rifà al metodo usato da Edmund Jacobson e si differenza dal training autogeno perché non comporta suggestione o ipnosi.

Si parte dall’idea che si può attuare il rilassamento, se si conosce il vissuto della tensione muscolare.

Questo metodo, alterna momenti di contrazione a momenti di decontrazione muscolare che hanno il compito di eliminare la tensione.

Sono previsti sei esercizi da svolgere in un’unica seduta per circa 15 minuti al giorno.

Dopo circa un mese i risultati possono essere soddisfacenti per regolare la tensione

emotiva e il rilassamento generale. Anche in questi esercizi, come nel training autogeno, ci devono essere i requisiti relativi all’ambiente, alla postura e alla disponibilità psicologica.

PRIMO ESERCIZIO

In posizione seduta, portare le braccia tese in avanti; flettere il dorso delle mani verso il corpo rimanendo con le braccia tese; raccogliere la sensazione di pesantezza delle braccia, dei polsi, delle mani e delle spalle; dopo qualche minuto rilasciare le braccia sopra le cosce e ripetere per altre tre volte.

SECONDO ESERCIZIO

Da posizione seduta, sollevare il braccio dominante e rilassare l’altro; percepire la sensazione di pesantezza, di contrazione e di rilassamento; dopo qualche minuto rilasciare e ripetere per altre tre volte.

TERZO ESERCIZIO

Da posizione seduta, sollevare le gambe tese in avanti; lentamente flettere il dorso del piede verso il corpo rimanendo con le gambe tese; sentire la pesantezza; contare lentamente fino a 15 e ripetere per altre tre volte, effettuando una pausa fra un esercizio e l’altro di 10 secondi.

QUARTO ESERCIZIO

Da posizione seduta, fare delle lunghe inspirazioni alzando le spalle e contando fino a 10; espirare rapidamente rilassando le spalle. Fra un esercizio e l’altro, rispettare delle pause di circa 6 secondi e ripetere una decina di volte.

QUINTO ESERCIZIO

Posizione da seduto, braccia appoggiate sulle cosce, contare lentamente da uno a cinque facendo corrispondere ad ogni dito della mano un numero iniziando dal quinto dito. Ripeterlo per entrambe le mani per circa 8 volte con una pausa di circa 5 secondi fra un esercizio e l’altro.

SESTO ESERCIZIO

Questo esercizio differisce dagli altri, perché fa riferimento allo schema corporeo o schema motorio nel suo complesso, e non a singole parti del corpo come negli esercizi precedenti. Da posizione disteso sul materassino, cuscino basso sotto la testa, braccia distese lungo i fianchi con il palmo della mano rivolto verso il basso, gambe rilassate con la  punta dei piedi che cade verso l’esterno. Faccio un respiro lento e profondo, rimango con gli occhi aperti; mi concentro sul mio corpo, in particolare sul mio viso, sui i miei occhi, mantengo l’attenzione sul battito delle mie palpebre; ora le mie palpebre diventano pesanti, si abbassano, si chiudono e sposto la mia attenzione sulla mia bocca; stringo i miei denti, sento la tensione, rilascio e i denti non si toccano più; sollevo leggermente la testa da terra, sento il peso del mio capo e poi lentamente la riappoggio; sposto l’attenzione sulle mie mani, stringo forte i pugni, rilascio lentamente e distendo con forza le dita a ventaglio, sento la tensione e rilascio; ora cercherò di contrarre tutti insieme i muscoli degli arti superiori chiudendo i pugni e spingendoli con forza verso il pavimento con le braccia lungo i fianchi, sento la contrazione dei polsi, dei gomiti, delle braccia, delle spalle, rilascio lentamente, ripeto; ora mi concentro sul bacino staccandolo da terra con una anteroversione, sento la zona lombare staccata da terra e la tensione, lo rilascio lentamente; faccio il movimento opposto portando il bacino in retroversione, sento la zona lombare ben aderente al suolo, la contrazione degli addominali e dei glutei, rilascio lentamente; cerco di contrarre tutti insieme i muscoli degli arti inferiori, lentamente le mie gambe si irrigidiscono, sento la contrazione dei glutei, dei muscoli che avvolgono le cosce, dei polpacci, aumento la tensione e lentamente rilascio, ripeto. Ora cerco di immaginare e di sentire la decontrazione dopo la contrazione, la calma dopo la tensione, il calore dopo il movimento; tutti i muscoli sono rilassati, la calma si diffonde lentamente in tutto il mio corpo; dopo aver sentito i miei muscoli quando sono contratti e quando rilassati li potrò controllare meglio; ora mi sveglio lentamente, stringo e rilascio i pugni delle mie mani, contraggo i muscoli delle gambe e rilascio, apro gli occhi, mi stiro come quando mi alzo al mattino, mi rialzo e faccio dei piegamenti delle gambe, delle braccia, ecc., per riattivarmi al meglio.

 

 

Il rilassamento respiratorio analitico

Il rilassamento è uno stato psicofisico in quanto implica un coinvolgimento sia mentale che corporeo: non si può essere mentalmente rilassati e fisicamente nervosi e viceversa. Michael Stich sosteneva che, se vuoi vincere, devi rilassarti, anche perché c’è abbastanza tempo per ogni cosa. Il rilassamento rallenta la frequenza cardiaca, quella respiratoria e l’attività muscolare; è ideale per risparmiare l’energia, soprattutto prima della gara e dell’allenamento;

favorisce il recupero se è fatto dopo lo sforzo; migliora la ricettività delle istruzioni; rende più lucidi nell’applicare determinate strategie; favorisce la fluidità dei colpi e dei movimenti.

Questo metodo di autodistensione, che deriva da un’evoluzione ed elaborazione del training autogeno, ha avuto una consistente applicazione in ambito sportivo.

Anche questo metodo è composto da una serie di esercizi, ognuno dei quali viene concluso con l’esercizio della ripresa, che consente di passare, dallo stato di rilassamento a quello dell’attività psicofisica.

Fino a quando le esercitazioni non vengono apprese bene, l’allievo deve essere seguito; successivamente, potrà svolgere l’allenamento in maniera autonoma, dedicando circa dieci minuti due tre-volte al giorno. Anche in questi esercizi, valgono le regole del training autogeno, circa l’atteggiamento somatico e psicologico come: condizioni ambientali, postura, chiusura degli occhi, atteggiamento positivo all’esercizio, mancanza di movimenti muscolari; esse determinano l’induzione alla calma, all’abbandono e allo stato di rilassamento psicofisico.

Le esercitazioni avranno lo scopo di permettere all’allievo di escludere ogni contatto con il mondo esterno, visualizzando o immaginando delle situazioni che saranno suggerite dal preparatore, con tono pacato e in presenza di tutti i presupposti affinché il rilassamento si attui. Il portiere deve esser portato in una situazione di calma, che si sovrappone nella mente

ai pensieri e alle preoccupazioni (passività mentale). Gli si può chiedere, per esempio, di immaginare qualsiasi parte del corpo partendo dalle dita dei piedi, per poi proseguire con la caviglia, il ginocchio, l’addome che si muove ad ogni atto respiratorio, la mano, il polso, l’avambraccio, la spalla ecc.; concentrarsi sul respiro cercando di percepire l’espansione del diaframma, il passaggio dell’aria dalle narici nella fase di inspirazione e dalla bocca nell’espirazione; avere l’impressione che tutto il corpo respira; immaginare che il corpo si dilata e si contrae effettuando delle profonde inspirazioni e espirazioni. Finita questa fase, va fatta eseguire la ripresa, invitando l’allievo a compiere dei movimenti con gli arti inferiori e superiori di flessione estensione, stringere le dita a pugno, respirando profondamente, aprendo gli occhi e ritornando allo stato iniziale.

Questo tipo di training, può essere variato e arricchito, prendendo in considerazione il

corpo nel suo complesso.

 

La musicoterapia

La musico-terapia è la scienza che studia l’applicazione della musica, come terapia sulla sfera fisica e psichica. In essa, il training autogeno, può essere usato con l’ascolto di brani musicali che, assimilati in uno stato di rilassamento, permettono all’allievo una padronanza del proprio

corpo e una condizione della sfera emotiva particolare. All’inizio della seduta, si propongono alcuni esercizi di training autogeno come la pesantezza, il senso di calore ecc.; poi vengono fatti ascoltare tre brani, con una pausa breve fra uno e l’altro, per essere assorbiti singolarmente. I brani possono essere scelti a piacere per quanto attiene l’autore, mentre, devono essere scelti secondo un ordine ben preciso in base all’obiettivo da perseguire, rispettando la progressione suggerita. Il primo brano deve tener conto dello stato d’animo iniziale dell’allievo che in genere esprime malinconia; il secondo dovrebbe essere dolce e melodico per indurre alla meditazione; il terzo brano è quello che determina il cambiamento dello stato d’animo iniziale, perché deve esprimere liberazione e trasmettere una carica emotiva. Terminati i brani, vengono proposti gli esercizi della ripresa già trattati nel training autogeno; si faranno pronunciare delle formule autosuggestionanti che danno grinta e determinazione: “io sono forte”, “devo giocare bene”, “devo dare tutto me stesso”, “il

mio avversario ha paura di me”, “io vincerò”. Alla fine di questo training, si passerà da uno stato di abbattimento e sfiducia ad uno stato di enfasi, voglia di lottare, sicurezza, voglia di fare, allegria, voglia di vincere, coraggio e liberazione.

Questo metodo nella fase iniziale viene proposto dal preparatore, per poi diventare autogeno, cioè è l’allievo stesso a metterlo in pratica senza l’aiuto di nessuno, anche se è

preferibile che il portiere sia seguito.

 

L’allenamento ideomotorio

Con l’allenamento ideomotorio, si parte dal presupposto che alcuni problemi che si manifestano in ambito sportivo, possono essere corretti e migliorati immaginando le stesse situazioni tecnico-tattiche con un risultato positivo. La mente non fa differenza fra una esperienza realmente vissuta e una immaginata. Gli impulsi nervosi, che circolano nel cervello quando si vive o si immagina una esperienza, formano una sorta di traccia del percorso, rendendo più facile il richiamo dello stesso programma o pensiero in un momento successivo; questa traccia viene influenzata dalla quantità dei passaggi dello stimolo nervoso, cioè, più ci si esercita, maggiormente si apprende. Pertanto, quando si ripetono mentalmente delle azioni è come se si svolgesse un allenamento.

Affinché l’allenamento ideomotorio sia realmente efficace, ci vuole predisposizione

psicologica, ripetizione e una visualizzazione ricca di sensazioni: visiva, muscolo-articolare, uditiva, tattile, organica.

Questo processo di immaginazione, può avere un carattere riproduttivo riguardo a esperienze precedenti; creativo quando si anticipano degli eventi possibili; programmatico riferito all’azione da compiere; regolatorio in relazione al controllo e all’azione dei movimenti; allenante volto al miglioramento del gesto.

Rappresenta un’altra variante dell’allenamento mentale, che interviene sulla psiche dell’atleta; deve fare parte integrante, senza sostituire ma completare, dell’allenamento tradizionale.  In uno sport come il calcio, che viene definito psicologico e di situazione, si pensi quale importanza può assumere questo aspetto che, purtroppo, in Italia, viene ancora poco considerato. Prima di procedere a questo tipo di allenamento mentale, è sempre utile praticare alcuni esercizi di rilassamento, per fare diminuire la tensione muscolare e acquisire

un livello di concentrazione tale, da permettere il pieno assorbimento delle tecniche ideo-motorie.

La seduta non deve durare più di 30 minuti (compreso il rilassamento).

Il metodo consiste nel riprodurre e visualizzare mentalmente azioni di gioco, interventi

tattici e correzioni tecniche che hanno lo scopo di aiutare il portiere a viverle in partita in

maniera positiva, vincente, con minore ansia, maggiore freddezza e sicurezza. Un esempio pratico può essere la rappresentazione mentale di un' uscita su gioco aereo; la rappresentazione esatta di un'azione tecnica e tattica che deve essere migliorata.Ogni esercitazione viene proiettata mentalmente tre-quattro volte per poi passare alla prossima.

La posizione da assumere è quella classica da seduto (posizione del cocchiere). Queste esercitazioni possono essere fatte negli allenamenti, prima e durante la gara riducendo ovviamente la loro durata.

 

Esempi di mental training prima della gara

Prima di proporre le esercitazioni, è opportuno precisare che  il lavoro deve essere svolto proponendo un’assistenza psicologica diversificata, per la ragione che ogni allievo è diverso. Pertanto, il preparatore dovrà avviare un processo conoscitivo che gli permetterà di dare ad ognuno quello che gli serve.

Questo è possibile se viene instaurato un rapporto interpersonale con ogni allievo, in modo tale da favorire la comunicazione delle sensazioni, delle impressioni e delle emozioni vissute.

Tutte le esercitazioni devono essere svolte direttamente dall’allievo senza l’aiuto del maestro.

La condizione di autosufficienza fortifica psicologicamente l’allievo per poter affrontare la partita. Il portiere, essendo unico nel suo ruolo, deve abituarsi a vincere prima con se  stesso. È essenziale che le tecniche, oltre che prima della gara, siano messe in pratica anche negli allenamenti affinché abbiano una buona efficacia.

Prima di eseguire gli esercizi è opportuno praticare il rilassamento con le tecniche illustrate negli articoli precedenti e, alla fine, il riscaldamento motorio.

Le esercitazioni trattate sono diverse e appartenenti a differenti metodi.

 

ESERCIZI

 

PRIMO ESERCIZIO

L’allievo, con la forza dell’immaginazione, si vede giocare analizzando con la mente

situazioni e tattiche di gioco: chiude gli occhi ed esegue,ad esempio una presa in tuffo.

SECONDO ESERCIZIO

Formulare con la voce la sequenza del gesto tecnico, in riferimento ad azioni tecniche  da migliorare; se per esempio l’allievo ha delle indecisioni sulle USCITE ALTE  dirà a voce : Traiettoria corta, uscita, stacco ,braccia distese. Vale lo stesso per le altre azioni. Questo esercizio può essere svolto da distesi ad occhi chiusi o in piedi . Le ripetizioni dipendono dalla situazione interna di ogni individuo; in genere bastano 3-4 ripetizioni.

TERZO ESERCIZIO

Per ottenere la carica essenziale per affrontare la gara, si usa anche la musica con brani scelti dall’allievo in base allo stato d’animo del momento.

QUARTO ESERCIZIO

L’autosuggestione, attraverso la formulazione di frasi orali, si utilizza per superare un ostacolo psicologico o situazioni di inferiorità tecnica. Le frasi possono essere: io sono forte, io vincerò, l'attaccante ha paura di me, la mia uscita sarà rapida e decisa .

QUINTO ESERCIZIO

Immaginare delle scene negative che provocano ansia e tensione, cercando di pensare a tutto quello che di negativo può avvenire nell’incontro che si andrà a disputare.

La durata di questo esercizio è di circa 10 minuti, trascorsi i quali, verranno fatti alcuni esercizi di ripresa (inspirazioni-espirazioni, flessioni-estensioni degli arti inferiori) e si andrà ad affrontare la gara.

SESTO ESERCIZIO

Immaginare una azione conclusiva vincente della gara, gli applausi, il pubblico, i compagni gioiosi,ecc.

SETTIMO ESERCIZIO

Avere come obiettivo quello di esprimersi al meglio senza pensare al risultato, concentrandosi su quello che va fatto e non su quello da non fare.

 

 

Esempi di mental training durante la gara

Durante la gara nelle pause ai cambi di campo, possono essere utilizzate delle esercitazioni di mini-training mentale nella classica posizione del cocchiere, per recuperare le forze psichiche, la concentrazione, la fiducia in se stessi, la motivazione, controllare l’ansia;

 

ESERCIZI

 

PRIMO ESERCIZIO

Regolazione della respirazione con la ripetizione di profonde inspirazioni e espirazioni, concentrando l’attenzione sulla durata dell’inspirazione e pronunciando delle formule autosuggestionanti mentre si espira.

SECONDO ESERCIZIO

Visualizzare nella mente delle possibili azioni di gioco come ad esempio: uscite alte.uscite su palla corta,impostazione di contrattacco rapido,ecc.

TERZO ESERCIZIO

Visualizzare parti del corpo, partendo per esempio dalle caviglie, proseguendo verso la parte alta del corpo (ginocchia, ecc.).

QUARTO ESERCIZIO

Pronunciare frasi autosuggestionanti con formule caricanti: in questa partita non prenderò neanche un gol.farò delle uscite e parate spettacolari,la porta sarà una saracinesca. Le formule variano in base allo stato d’animo. Chi ha paura della sconfitta può pronunciare per esempio: perdere mi insegnerà a vincere; mi batterò fino all’ultimo minuto per non prendere gol ,e non importa se perderò. In caso di calo di concentrazione si può ripetere la frase: sono calmo e concentrato. Se ci si sente osservati si può dire la formula: il giudizio degli altri non mi interessa.

QUINTO  ESERCIZIO

Ripassare le istruzioni precedentemente avute dall'allenatore.Ci sono addirittura dei portieri che si segnano con la penna i guanti per ricordarsi certe istruzioni da attuare  .

SESTO  ESERCIZIO

Visualizzare prima di ogni rinvio la traiettoria voluta e il compagno da mettere in movimento.

SETTIMO ESERCIZIO

Dopo qualche errore tecnico, visualizzare mentalmente il movimento corretto